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Il design delle fibre vegetali

maggio 2009

La cottura, voluta o accidentale, di impronte di intrecci di fibre vegetali su materiali ceramici preistorici ha consentito di conservare fino a noi le prime tracce di questa lavorazione che avveniva già nell'Età del Bronzo.
Cassapanche, cofani e tavolini in canna e papiro ritrovati in Egitto nelle tombe dei faraoni dimostrano come l'arte di intrecciare fibre vegetali per realizzare componenti di arredo fosse già sviluppata in quell'area nel 2000 a.C..
Sempre in Egitto, come ci tramanda la Bibbia, è su una zattera di giunchi intrecciati che Mose fu affidato al Nilo per sfuggire al massacro dei bambini ebrei.
Dal Naturalis Historia di Plinio il Vecchio (23-79 d.C.) apprendiamo come i romani utilizzassero ramoscelli di salice per costruire sedie e triclini.
Gli intrecci vegetali, così come i tessuti che ne costituiscono un perfezionamento attraverso l’impiego del telaio, sono il frutto di un processo di invenzione, applicazione di tecniche e manipolazione della materia che ha quindi origini lontanissime .
Il "cestaio" è infatti uno dei più antichi mestieri del mondo che per lungo tempo fu esercitato dai contadini durante la stagione morta per realizzare oggetti per le proprie necessità domestiche.
Parenti poveri degli altri artigiani, questi "intrecciatori di vimini", in seguito si trasformarono in ambulanti andando spesso a realizzare i propri prodotti nel posto in cui venivano venduti: nelle piazze e nelle strade dei paesi e delle città.
In Francia l'Ordine dei Gonfaloni attribuì il 46° gonfalone agli artigiani del vimini già nel 1467 e nella revisione degli statuti del 1561 "furono divisi in tre corporazioni secondo funzioni molto precise: gli artigiani che costruivano in vimini verde o bianco cesteria piana, quelli che costruivano gerle e vagli ed infine quelli che facevano cesti a giorno."

Un percorso per cogliere la specificità delle fibre vegetali, e le loro potenzialità configurative, deve partire dallo studio di quella estesa gamma di prodotti che solitamente definiamo come  cesteria e in particolare dagli oggetti legati alle attività agro-pastorali.
Attrezzi spesso anteriori alla meccanizzazione ma che tutt'ora sono utilizzati in molte aree del sud del mondo e che evidenziano anche l'estesa gamma di materiali che il termine "fibre naturali" racchiude.
La semina è, nel ciclo della lavorazione agricola, la prima attività che richiede l'uso di un "attrezzo" per contenere. I recipienti per i semi presentano una gran varietà di forme, capacità, materiale e modo di utilizzazione.
In Svezia e Danimarca si usavano contenitori in torciglioni di paglia sia con fondo piatto in legno, che tutti in paglia, la cui forma anatomica permetteva di aderire alla pancia del seminatore e, tramite una tracolla, lasciare entrambe le mani libere. Sempre a tracolla ma in larghe strisce di scorza intrecciata sono le "borse" utilizzate in Messico. Torciglioni di paglia di segale tenuti insieme da ramoscelli di rovo costruiscono i cesti ovali utilizzati fino al XX secolo in molte regioni della Francia.
Un disegno molto più raffinato caratterizza invece i cesti da semina in sottile lamelle di bambù utilizzati in Vietnam per i semi di riso greggio (paddy).
Una lavorazione che svela la matrice di lavori come il canestro "Angler Fish" di Rokansai Lizuka uno dei più importanti designer del bambù del Giappone.
Nel Pakistan per la semina a file si costruivano con le foglie di palma lunghi imbuti dove il seme depositato nel cono scorreva controllato e dosato verso il solco nel terreno.
Dopo la semina l'attività dove maggiormente vengono utilizzati attrezzi in fibre naturali è la ventilazione. Con la ventilazione si opera la separazione tra chicchi e impurità lanciando in aria il grano in modo che le impurità, più leggere, volano via e i chicchi, più pesanti, ricadono nel ventilabro o nel cesto.
Le forme dei ventilabri, tutti caratterizzati da un lato rialzato per contenere i chicchi, sono diverse a seconda dell'area geografica. Rotondi in vimini con due manici in America, oblunghi o rettangolari in bambù intrecciato in India e con due impugnature che prolungano il bordo circolare in Giappone.
Per spulare, separare i chicchi dalle impurità, non si utilizzano solo i ventilabri ma anche cesti rettangolari o rotondi che hanno un leggero bordo tutto intorno. Sono utilizzati nell'America meridionale in Cina, nello Sri Lanka, nel Madagascar e in alcuni paesi mediterranei.
Realizzati in foglie di palma, paglia di segala con fasce di castagno, o nocciolo, oppure con listelli tagliati nel gambo delle foglie di rafia: sono i cesti-vassoio maggiormente diffusi nell'esteso processo di "riuso" che oggi caratterizza il mercato etnico.
In alcuni paesi del mediterraneo era possibile incontrare anche arnie a campana realizzate in torciglioni di paglia (Francia) e in tessitura di vimini molto fitta (Slovenia); oppure arnie antropomorfe raffiguranti Sant' Ambrogio.
In fine ci sono gli attrezzi per portare sulle spalle, le gerle, che vengono realizzati con intrecci dei diversi materiali vegetali locali.
Torciglioni di paglia, strisce di scorza, paglia di segale, foglie di rafia, fasce di castagno o nocciolo, bambù intrecciato, ma anche vinco, vitalba o radice di abete , fibre di culmi di grano o di fieno marino, foglie di palma nana...
La gamma di materiali utilizzati dalla tradizione costruttiva artigianale è estesissima e strettamente legata alle risorse naturali locali.

Un altro settore dove si sviluppa la costruzione di attrezzi in fibre vegetali, ed in particolare in bambù, è quello più domestico della cucina.
Il caso più significato è sicuramente quello giapponese dove in bambù vengono tradizionalmente realizzati molti degli strumenti utilizzati per la cottura e per la cerimonia del te.
La frusta (chasen) usata per "frullare" il tè, sciogliendo la polvere nell'acqua bollente e formando una schiuma compatta.
Il piccolo cucchiaio (chashaku) di forma allungata che si usa per prelevare l'esatta dose di polvere di tè sottile e depositarla nella tazza.
Il supporto (futaoki) su cui vengono appoggiati il coperchio del bollitore quando si prende l'acqua come i lunghi bastoncini (o-hasci) per cucinare e la tovaglietta per arrotolare il sushi vengono tutti realizzati in bambù.

Dall'inizio del XVIII secolo, a queste produzioni con materiali locali, si affiancano i mobili di giunco che arrivano in europa dall'Estremo Oriente; inizia in quegli anni la moda delle "cineserie", un gusto alimentato inizialmente dalle curiosità da "wunderkammer" e che, dal Settecento, si sviluppa nelle varie arti in tutta europa.
Vista la flessibilità, e la resistenza, della corteccia di canna d'India trafilata in strisce sottili si inizia a importare il giunco prima in Inghilterra e poi in Francia dove viene anche colorato caratterizzando questo particolare aspetto della produzione francese.
Mentre in Europa, come si è detto, tramite essenzialmente il lavoro dei contadini, ci si era limitati ad usare l'intreccio di fibre vegetali per realizzare prevalentemente oggetti d'uso senza pretese come strumenti agricoli, ceste, culle, cassoni e sedili, dall'oriente, e in particolare dalla Cina, arrivano mobili più complessi.
Dal sud della Cina nel 1827 arriva anche la prima specie di bambù introdotta in europa; il bambù nero Phyllostachys nigra, una pianta con foglie verde oliva e canne color nero ebano, la prima delle oltre 200 specie che da allora sono state acclimatate nel nostro continente.
Verso il 1840, quasi due secoli dopo che era iniziata la sua produzione in Cina, viene importata la poltrona "a clessidra", che prende il nome dalla forma della base e che viene considerata la capostipite della moda del mobile intrecciato di gusto orientale.
I mobili in giunco figureranno all'Esposizione universale di Londra del 1851.
Al Crystal Palace si vedranno anche i primi esempi della produzione nordamericana che si avvierà ad essere uno dei più importanti centri di produzione di questo settore dell'arredamento.
Dopo le prime esperienze "industriali" di Samuel Colt  (il padre del celebre revolver) quando, nel 1897, la Heywood Brother & Co. e la Wakefield Rattan Co. si associano nella Heywood-Wakefied nasce la più grande impresa produttrice di manufatti in giunco del mondo.
Diversamente dall'america, dove i sofisticati macchinari e l'organizzazione a catena di montaggio, sviluppano un modello produttivo sempre più industrializzato in europa permane una produzione fortemente frammentata condizionata dalla preesistente tradizione artigianale.
Alla Fiera mondiale di Londra del 1862 l'importante presenza dei prodotti giapponesi, che non erano presenti nell'edizione del 1851, rilancia in europa il gusto per l'esotico e il successo dei prodotti realizzati con fibre vegetali.
Un successo che dieci anni dopo, nel 1873 , verrà riconfermato all'Esposizione di Vienna dove, tra i 6.668 articoli presenti nel catalogo del Giappone, a fianco degli oggetti laccati e dei lavori in metallo e ceramica, figurano importanti oggetti creati dall'arte di intrecciare il bambù.
Nel 1877, anticipando di una sessantina d'anni l'importante esperienza di Bruno Taut, va in Giappone per quattro mesi Christopher Dresser (1834-1904) .
Al suo rientro in Inghilterra darà un fondamentale contributo all'estensione in europa del gusto "japoniste". Il suo libro "Japan. Architecture. Art and Art Manufactures", del 1882 sarà uno dei primi testi che illustrerà l'arte giapponese in una Inghilterra già sensibilizzata a questo gusto da importanti personalità come lo scrittore Oscar Wilde, l'architetto Edward William Godwin e il pittore James McNeil Whistler.

Alla Prima esposizione d'arte decorativa moderna di Torino, nel 1902, nell'ingresso della sezione tedesca Peter Behrens (1868-1940) colloca quattro grandi ceste, finemente intrecciate secondo modelli giapponesi, realizzate dalla ditta amburghese Henning Ahrens.
Non sono "oggetti di disegno 'moderno', ma è 'moderna' la concezione di adoperare elementi in vimini in un ambiente rappresentativo ed aulico come quello che Behrens allestisce per illustrare le attività industriali e commerciali della sua nativa città stato, Amburgo"
Questo atteggiamento di "inserire" elementi in fibre vegetali, o pure e semplice canna di bambù, nell'arredo lo ritroveremo anche ai giorni nostri in molti degli allestimenti etno-minimalisti che caratterizzano l'ambientazione del mobile.
Con il '900 molti protagonisti europei dell'architettura del XX secolo si confronteranno con le fibre vegetali.
Behrens collabora come designer con le fabbriche di mobili di vimini Ruping & Fritz di Coburgo e Hugo Garbrecht di Erfurt.
Tavoli e poltrone in midollino disegnate da Henry van de Velde (1863-1957) vengono realizzati nel 1905 dalla fabbrica August Bosse di Weimar.
Richard Riemerschmid (1868-1957) progetta per la fabbrica di mobili in vimini Teodor Reimann di Dresda.

Ma è l'Austria che in questo periodo diventa il più importante centro europeo di produzione di mobili in fibre vegetali; un materiale che si presta alle scelte stilistiche della Secessione viennese.
La scomposizione lineare, la trasparenza delle strutture, le connessioni per tangenza, compenetrazione o intreccio, che caratterizzano i prodotti in fibre vegetali sono, del resto, gli elementi che ritroviamo nei mobili Thonet e nel suo stile che anticipa gli orientamenti del gusto dell'Art Nouveau.
La stessa tecnica di inumidire elementi di legno per poterli piegare, utilizzata da Thonet, riproduce la lavorazione delle fibre vegetali ancora vive e permeate di linfa.
Va inoltre ricordato come è dal successo delle seggiole realizzate da Thonet che nasce l'abitudine di definire "paglia di Vienna" il particolare intreccio a nido d'ape delle sedute mentre questa lavorazione nasce in Inghilerra.
Hans Vollmer (1879-1946), allivo di Josef Hoffmann lavora con la Prag-Rudniker Korbwaren-Fabrikation, sorta attorno al 1880 dalla fusione di un laboratorio artigianale di Rudnik in Galinzia e di una ditta commerciale di Praga e che sarà la più importante azienda austriaca di questo settore con sedi a Praga, Budapest e Vienna.
Le poltroncine disegnate da Vollmer arredano nel 1910 l'importante sala di Klimt alla Nona Esposizione internazionale d'arte della città di Venezia.
Sempre con la Prag-Rudniker collabora, dal 1909 e per oltre venti anni, un altro allievo di Hoffmann, il trentino Josef Zotti  (1882-1953) che nel 1911 arreda il padiglione austriaco progettato da Hoffmann alla Mostra internazionale d'arte di Roma organizzata per il cinquantenario dell'Unità d'Italia.
L'essenzialià del disegno della poltrona disegnata da Zotti, in midollo sbiancato tessuto compatto, con una forma cilindrica che si dischiude come la corolla di un fiore, e con i profili laccati in rosso o nero, diventerà un importante punto di riferimento nella produzione degli anni seguenti.
Già nel 1909 Zotti, ancora studente, aveva progettato per la Prag-Rudniker  una poltrona in midollino a schienale alto la cui verticalità era accentuata dalla bicromia dalle bande  realizzate tramite midollino naturale alternato al rosso, o, in alternativa, marrone o nero.
Nel 1925, all'Esposizione di Arti decorative di Parigi, presenta una rivistiazione di questi suoi primi modelli a bande cromatiche verticali.
Ma è nel rapporto fra struttura e superfici che la ricerca di Zotti mostra la componente più innovativa: "la fitta orditura del midollino diventa superficie modellabile, non più legata a regole geometriche di connessione con la gabbia strutturale; i telai, in legno di faggio o in canna di rattan, seguono la sagoma curvilinea imposta dal designer;la forma predomina sulla regola tecnica e diventa il tratto distintivo dell'oggetto."
A fianco di una produzione di sedute che mantengono la struttura legata al tradizionale graticcio "coloniale", una struttura che permane tutt'ora in molti prodotti "da giardino", in quegli anni si definisce, e sviluppa, una linea che nell'essenzialità del disegno, e nella lavorazione del materiale, nella fitta orditura del midollino, riflette le ricerche più avanzate dell'esperienza progettuale dell'inizio del '900.

Molti modelli della Prag-Rudniker vengono in quegli anni pubblicati nella rivista "The Studio" e influenzano produttori inglesi come la ditta Dryad di Leicester che, oltre a diventare la più importante produttrice inglese, svolgerà un ruolo centrale nella diffusione del gusto europeo esportando in tutto il mondo i suoi mobili con fusto di malacca e midollino intecciato a tessuto a trama fitta.
La Dryad esporterà i propri mobili anche in Giappone "riportando" in oriente un prodotto rielaborato secondo il gusto europeo.
Per la Dryad, negli anni dieci lavorano J. Crampton,  B.J. Fletcher , T. Rotherham ed in particolare  Harry  H. Peach a cui si devono alcune delle più originali sedute.

Gli anni dieci vedono anche in Italia lo sviluppo di questo settore.
Ai numerosi piccoli laboratori artigianali , e ad alcune fabbriche già consolidate, si affiancano nuovi produttori.
Alle imprese che producono dalla fine dell'ottocento come: la Ernesto Alloggi di Torino, la Italo Crenna Società Anonima di Firenze, la Giovanni Bonacina a Lurago d'Erba vicino a Como e la Premiata società friulana per l'industria del vimini a di Udine, si affiancano altre aziende importanti come la Emilio Paoli a Firenze o la Antonio Dal Vera a Conegliano Veneto.  
Ad un pubblico, che ormai si è esteso a quello medio-piccolo borghese, si affianca anche una nuova area di sviluppo rappresentata dall'arredo di navi e alberghi.
Navi come Conte Rosso, Conte Verde, Saturnia, Vulcania e Conte Grande sono un'importate occasione per lo sviluppo della produzione italiana.
Italo Crenna, i fratelli Coppedè, Gino (1866-1927), Carlo (1868-1952) e Adolfo (1871-1951), Gustavo Pulitzer Finali (1887-1967) sono alcuni dei più importanti autori che si confrontano con questo nuovo mercato.

Con gli anni '30 anche gli autori italiani, grazie all'opera dell'ENAPI (Ente Nazionale Artigianato e piccole Industrie) iniziano ad essere presenti nelle esposizioni di arte decorativa moderna.
Alla V Triennale di Milano del 1933 nella sezione "Vimini, canna, midollo, giunco, paglia, raphia " organizzata dall'ENAPI troviamo pittori come: Arturo Barazzuti, Giuseppe Fiorentini,Virgilio Guzzi e Umberto Zimbelli; e architetti come: Tommaso Buzzi, Mario Fagiolo, Cesare Scoccimarro, Alfio Susini, Ernesto Puppo.
Viene esposta anche una culla in vimini progettata da Mario Ridolfi.
Come ricordano Irene de Guttry e Maria Paola Maino " è una ventata di modernità. Ogni decorazione abolita, l'eleganza nasce dalla forma. Il fusto in canna di malacca, molto evidenziato, sembra ricalcare le sagome dei mobili in tubo di acciaio cromato, all'epoca campo privilegiato di sperimentazione di tutti gli architetti d'avanguardia."  
Negli stessi anni altri importanti autori europei realizzano progetti in fibre vegetali; nel 1934 Bruno Mathsson (1907-1988) disegna la chaise-longue Pernilla per  Karl Mathsson e nel 1936 Alvar Aalto disegna la chaise-longue, modello n.43 per Artek .
Un tessuto di rattan riveste completamente la geometrica sedia di Jean-Michel Frank (1895-1941) del 1935 che verrà prodotta da Ecart


Negli anni trenta avviene un importante "incontro"  fra la cultura occidentale e la cultura orientale che riguarda anche lo sviluppo della progettazione con le fibre vegetali: il lungo soggiorno di Bruno Taut (1880-1938) in Giappone.
Taut conosce l’arte giapponese nel 1903 quando, come molti altri designers dell’Art Nouveau, all’inizio della sua carriera di architetto, dipinge “vedendo la natura con gli occhi dell’artista giapponese”.
Nel maggio del 1933 Bruno Taut, abbandonata la Germania sotto il regime nazista arriva in Giappone per passarvi alcuni mesi.
Vi resta più di tre anni che trascorre in gran parte ad approfondire la conoscenza dei temi principali dell’architettura giapponese, della quale diventa non solo divulgatore in occidente, ma anche emblematico sostenitore appoggiando la corrente modernista locale dell’epoca.
Il suo lavoro, rispetto alla produzione artigianale, si sviluppa in due fasi.
Prima, nel 1933, ottiene l'incarico di consulente per la scuola d'arti applicate statale Kogei Shidosho di Sendai con l'obiettivo di avviare un programma per innalzare il livello della realizzazione di oggetti d'uso quotidiano.
Poi, nel 1934, Taut incontra Fusaichiro Inoue che gli chiede di diventare suo assistente al laboratorio di Takasaki nella prefettura di Gumma, dove Inoue desiderava far rivivere la produzione artigianale locale.
"Durante un soggiorno di due anni a Takasaki, Taut progettò oltre seicento oggetti, comprendenti arredi, lampade, portaceneri e insalatiere, che Inooue vendette tramite il negozio artigianale Mirattis a Tokyo all'inizio del 1935"
L'attento studio degli oggetti d'uso giapponesi, analizzati sia per le qualità funzionale che per quelle formali diventa per Taut stimolo per progettare "oggetti talvolta quasi irrealizzabili sia per la sottigliezza dei singoli elementi sia, come nel caso del bambù, per la complicazione delle torsioni e delle deformazioni che venivano richieste"
L'osservazione diretta della cultura artigianale giapponese gli permette di "ottenere una lavorazione del legno e del bambù impensabile in Germania."
Nonostante lo sviluppo che la lavorazione delle fibre vegetali aveva avuto in europa l'oriente rimane l'ambiente dove, cultura e tradizioni, permettevano infatti di trovare un terreno fertile dove ricercare nuovi soluzioni per valorizzare le potenzialità di questi materiali ma soprattutto dove "incontrare" le potenzialità della fibra vegetale meno sviluppata in occidente: il bambù.

Tra il 1940 e il 1943 risiederà in Giappone anche Charlotte Perriand   (1903-1999) invitata dal Ministero del Commercio e dell'Industria con il compito, iniziato da Bruno Taut , di definire nuovi orientamenti e strategie da dare alla produzione industriale nipponica.
Durante i tre anni di soggiorno in Giappone Charlotte Perriand si dedicherà allo studio dell'architettura e della cultura giapponese.
Visiterà università, fabbriche, laboratori e botteghe artigianali e con alcuni artigiani giapponesi realizzerà una serie di elementi d'arredo e oggetti di uso quotidiano con l'obiettivo di far dialogare oriente e occidente.
Nel 1941 organizzerà a Tokyo la mostra “Tradizione, selezione, creazione” comprendente le sue opere ispirate alle arti Giapponesi
Con Charlotte Perriand lavora, come assistente, Sori Yanagi (1915),uno dei pionieri del design giapponese.
Nel "corso" tenuto da Taut alla scuola Kogei Shidosho di Sendai si forma invece uno dei maggiori designer giapponesi del dopoguerra Isamu Kenmochi (1912-1971).
Profondo studioso delle tecniche produttive occidentali Isamu Kenmochi le utilizzerà per sviluppare la tradizione dell'artigianato locale adottando anche procedimenti progettuali "occidentali", come il disegno su scala intera e la creazioni di prototipi, introdotti in Giappone per la prima volta da Taut.
Fra i suoi lavori più interessanti la poltrona in rattan dal profilo arrotondato, leggera e compatta, del 1956 prodotta dalla Yamakawa Rattan Company di Tokyo che ha vinto numerosi premi e, nel 1964, viene acquisita dal MOMA di New York.
Sempre per la Yamakawa Rattan Company  (oggi YMK) lavora  Riki Watanabe  (1911). Il suo sgabello in rattan "Torii" del 1956, presentato alla triennale di Milano del 1957, è uno degli esempi dello svecchiamento della produzione artigianale che questa industria compie nel passaggio dalla produzione di canestri e vassoi tradizionali a moderni oggetti di arredo in fibre vegetali.
Taut incontra in Giappone anche Rokansai Lizuka (1890-1958) considerato il principale designer che ha innalzato il livello estetico dell'artigianato in bambù del ventesimo secolo.
I sui cestini per la cerimonia del te rimangono fra i più interessanti esempi della modernità che può raggiungere la lavorazione del bambù.
Alla mostra sull' Artigianato tradizionale giapponese del 1957 presenta il canestro "Angler Fish" in stile classico (shin) caratterizzato da una metà superiore che con un intreccio complesso recupera la struttura di un cesto da pescatore  e si allarga verso il basso nell'intreccio dell'onda.
Oltre a Rokansai Lizuka l'arte del bambù giapponese ha fra i principali maestri Shounsai Shono (1904-1974) il primo artista ad ottenere nel 1967 il riconoscimento del Tesoro Nazionale Umano per l'arte del bambù.
La precisione nell'intrecciare il bambù secondo lo stile classico cinese (karamono) caratterizza il lavoro di Shounsai Shono in importanti lavori come il famoso canestro per composizioni di fiori per la cerimonia del tè "Surging Wavers" del 1956 il cui grafismo "fa quasi dubitare che si tratti di un disegno a china invece che di un oggetto in bambù intrecciato" . Mentre invece lo stesso Shounsai Shono adotta lo stile quotidiano (so) nel più scultoreo canestro "Tiger Cage" (Koken) del 1959 che esalta i valori tattili dell'intreccio largo del materiale.

Dagli anni cinquanta, in tutta l'europa, si assiste ad una estensione degli autori che si confrontano con le fibre vegetali.
Sono del 1949 le sedute del danese Hans Wegner (1914), frutto di una purificazione e semplificazione delle forme e della costruzione, come la pieghevole Modello n.PP512 per PP Mobler o le poltrone Modello n. 27 per Carl Hansen & Son sempre del 1949 dove, anche se la struttura è in legno, è l'intreccio della fibra vegetale a caratterizzarne il disegno.

In Olanda Dirk van Sliedregt progetta diverse sedute da giardino per la Jonkers,  in Finlandia Olavi Hanninen lavora per la Stockmann.
Nel 1951 Isamu Noguchi realizza un prototipo di sedia con una leggera struttura in metallo che unisce la seduta e lo schienale in bambù intrecciato a maglia larga.
In Danimarca Nanna (1923) e Jorghen Ditzel (1921-1961) a partire dal 1957 disegnano una serie di mobili in vimini per la Wangler inclusa la celebre sedia da appendere a forma di uovo,  mentre Erik Andersen e Palle Peterson lavorano per la Bovirke.
Alla XI Triennale di Milano del 1957, nella Sezione della paglia della Mostra della produzione d'arte, sono presenti i danesi Peter Hvidt e Molgaard con un divano in legno e bambù e la  Vittorio Bonacina con una poltrona in midollino.
Nello stesso anno i BBRP realizzano una chaise - longue in canna d'india e un divano e poltrona in giunco, per una casa di vacanze sulla riviera ligure  
Franco Albini disegna per Giovanni Bonacina (oggi Vittorio Bonacina & Co) le importanti Gala e Margherita. In seguito, sempre per Bonacina, disegneranno Gianfranco Frattini, Vittorio Gregotti, Franca Helg, Umberto Riva, Renato Sambonet e Giovanni Travasa.
Parallelamente per l'azienda di Pietro Bonacina (oggi la Pierantonio Bonacina) disegnano mobili Gio Ponti, Marco Zanuso, Ico Parisi, Tito Agnoli, Erik Gunner Asplund e Joe Colombo.
All'inizio degli anni sessanta in Finlandia Eero Aaroni Aarnio progetta una serie di sedute puff sovrapponibili in vimini chiaro per la Askon Tehtaat mentre in Cecoslovacchia J. Hala lavora per la Drevotvar Producer Cooperative.

Attualmente le fibre vegetali sono presenti in molti prodotti dell'arredamento sia delle grandi catene come Habitat, IKEA o Unopiù, che nei cataloghi di industrie che continuano a sviluppare la ricerca sulle potenzialità di questi materiali come, in Italia, la Pierantonio Bonacina , la Vittorio Bonacina & Co., la Gervasoni   o la Varaschin.
Per Gervasoni è Paola Navone che, oltre ad occuparsi in prima persona del disegno di gran parte delle collezioni, cura dal 1998 la direzione artistica dell'azienda. Delle molteplici attività di Paola Navone va ricordata la consulenza che dal 1985 al 1988 svolge, per conto dell'Unido e della Banca Mondiale, per la costruzione dell'immagine e del prodotto di Filippine, Indonesia, Malesia e Thailandia. Una importante occasione che le permette di studiare i materiali e le lavorazioni dei paesi del sud del mondo.
Negli altri paesi europei troviamo analoghe ricerche interessanti come quella di Jan Armgardt che usa materiali naturali per il suo lavoro sulle sedute come il modello n.JA46G del 1991 per Katz-Flechmobel, o quella di Marcel Wanders (1963) che utilizza il salice in una seduta del 1999 per Oranienbaum. L'immagine è quella di una cesta grezza girata come seduta e lo schienale realizzato con mezza cesta.
In Brasile i fratelli Fernando (1961) e Humberto (1953) Campana, la cui ricerca investe materiali come il cartone, utilizzano sottili canne di bambù, montate a "spazzola" nella seggiola realizzata nel 2000 da Hidden, o piegate e rivestite con una lastra in acrilico nella poltrona autoprodotta dello stesso anno.
Altri autori guardano alle potenzialità di materiali antichi, ma raramente utilizzati per realizzare elementi di arredo, come il giovanissimo designer tailandese Anon Pairot (1979) con la Loft Lough Chair (poltrona lacustre senza braccioli) una poltrona con poggiapiedi estraibile realizzata intrecciando manualmente piante che crescono in acqua.
Un ulteriore aspetto che caratterizza la ricerca degli ultimi anni è l'estensione dell'articolazione merceologica dei prodotti in fibre vegetali: alle sedute si aggiungono nuove tipologie di oggetti come lampada, ventilatori ecc.
Grandi "bottiglie" in midollino come le lampade di Michael Sodeau (1969) realizzate nel 1998 per MSP.
Ventilatori come  Wind (1997)  disegnato  da Jasper Startup (1961), per Gervasoni, in giunchino tigrato o la lampada Bell (1999) in midollino naturale, che valorizzano la caratteristica permeabilità all'aria e alla luce delle lavorazioni ad intreccio.