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sette note sul contesto del progetto

aprile 2009
                              contributo al volume "La pelle come limite" 
                              a cura di
Riccardo Blumer
                              Edizioni Corraini  Mantova

1. La prima volta che ho visto un lavoro didattico di Riccardo Blumer eravamo ad un workshop che Riccardo teneva a Treviso insieme ad altri professionisti.
Ovunque tavolini tipo “giovane design” e paccottiglia varia, che altri gruppi avevano proposto.
Nella stanza di Blummer : scope di saggina che reggevano improbabili piani, in una vasca un oggetto inutilmente galleggiava, ecc.

2. Anni dopo, alla ricerca di chi avesse delle idee da trasmettere ai ragazzi,  per cercare di costruire una scuola  almeno “intelligente”, l‘ho cercato invitandolo a San Marino
Dopo poche parole al cellulare per convincerlo abbiamo vissuto intensamente per due anni i tre mesi estivi sul colle del Titanio,  cercando di trasferire idee, e non solo prodotti, ai ragazzi del primo anno che da grandi vogliono fare i designers.

3. Abbiamo ragionato, cenando insieme tutti i giovedì sera, riuscendo a rallentare un poco i nostri ritmi e a parlare di tutto.
Tramite Riccardo ho capito come è possibile amare il materiale e quando, insieme a Massimo Brignoni, lo abbiamo portato a visitare una fornace di ghisa nelle Marche, ho visto nel suo sguardo lo scatto della curiosità che poco dopo lo avrebbe portato a realizzare le sue sedute in ghisa.

4. Il primo anno Riccardo ha invaso la scuola di panini, carrube e “mangiabili vari” facendo costruire elementi che reggessero il peso di una seduta.
Il secondo anno ha invece proposto di guardare alla pelle.
Abbiamo unito i nostri corsi paralleli e, cosa “innovativa” nell’accademia nostrana, i ragazzi dei due corsi hanno lavorato insieme sullo stesso tema trascinati da Riccardo con la collaborazione di Matteo Borghi e Massimo Brignoni.
I risultati sono pubblicati in questo volume.

5. Sul basic design si è ragionato molto andando a rispolverare le esperienze del Bauhaus e di Ulm.
Il corso base che Blumer propone, nelle sue varie attività didattiche, cambia costantemente come ”tema”, arricchendosi delle esperienze che si stratificano, ma ha alcuni elementi peculiari.
Blumer costringe lo studente a confrontarsi con il materiale, a capirne la sua logica  superandone una visione predefinita.
Il testo sulla pelle (trascrizione della sua prima lezione) è esemplare nella sua capacità di deviare l’attenzione da una visione stereotipata, ovvia, del materiale per costringere a confrontarsi con altri possibili significati e generare curiosità.
La curiosità è l’obiettivo centrale di un corso di progettazione.
Allenarsi a capire  le potenzialità della nostra arte è inutile se non è frutto della curiosità nei confronti di ciò che ci circonda
Ma la curiosità non si “insegna” si può solo provocare.

6. La ricchezza e varietà degli “oggetti” prodotti dai corsi  documenta da sola l’efficacia di questa impostazione didattica.
Ma l’aspetto più importante che li caratterizza tutti è che non sono dei “prodotti”.
Non sono prototipi di possibile merce.
Non sono consumabili
Sono ricerca. Ricerca per cercare di capire.

7. Riccardo Blumer fa parte di quel numeroso gruppo di professionisti che lavorano “a contratto” nell’ università per supplire all’assenza,  ormai organica, di docenti strutturati.
Ma ha alcune caratteristiche che lo rendono particolare in questo panorama.
Non vede l’università come luogo dove trasferire con distratta sicurezza i propri “segreti del mestiere” ma come luogo dove sperimentare, insieme ai ragazzi, nuovi percorsi per cercare di capire.
Vede l’università  non come un luogo dove solo trasferire ma come occasione per acquisire.
Oggi tutto ciò è purtroppo raro.

Seven notes on the context of the projects
1. The first time I saw a piece of Riccardo Blumer’s teaching work we were at a workshop Riccardo held in Treviso together with other designers. There were “young design”-style coffee tables and
various cheapjack objects everywhere, proposed by other teams.
In Blumer’s room: broomcorn brushes holding up rather unlikely surfaces, an object floating pointlessly in a tank etc.

2. Years later, when I was looking for somebody with ideas to pass on to young people in an attempt to set up a school which would at least be “intelligent”, I sought him out by inviting him to San Marino.
After exchanging a few words on the mobile to persuade him to get involved, we spent three months for two summers in a row up on Titanio hill, attempting to convey ideas and not just products to first-year kids, who wanted to be designers when they grew up.

3. Dining together every Thursday evening, we tried to take stock of matters, slowing down our work rates and discussing a bit of everything.
Thanks to Riccardo I realised how you could love material and so when, together with Massimo Brignoni, we took him on a visit to an iron foundry in the Marches region, I could see a glimmer of curiosity in his eyes, which eventually led him to design his own cast-iron chairs.

4. During the first year Riccardo filled the school with sandwiches, locust beans and “other stuff to eat”, constructing elements capable of holding the weight of a chair.
During the second year, on the other hand, he suggested taking a look at leather.
We joined together our courses being held at the same time and, “something new” at our academy, the students on both courses worked together on the same topic, driven along by Riccardo in conjunction with
Matteo Borghi and Massimo Brignoni. The results are published in this book. ("La pelle come limite"  a cura di Riccardo Blumer , Corraini editore Mantova)


5. Plenty of thought was given to basic design, taking a fresh look at the experiments from Bauhaus and Ulm.
The various teaching activities on Blumer’s basic course constantly changed “topic”, carrying out all kinds of stratified experiments but with certain peculiar features.
Blumer got his students to get to grip material, understanding its logic and moving beyond any preconceived vision.
The text on leather (a transcription of his first lecture) is exemplary in its capacity to divert attention from a stereotyped, obvious point of view of material, so that we are forced to confront other possible meanings and arouse curiosity.
Curiosity is the main aim of a design course.
Learning how to understand the potential of our art is useless unless it is the fruit of our curiosity for what surrounds us.
But curiosity cannot be “taught”, it can only be aroused.

6. The wealth and variety of “objects” produced by the courses testifies in itself to the effectiveness of this teaching approach.
But the most important aspect of all these objects is that they are not “products”.
They are not prototypes of possible goods.
They cannot be turned into consumer products.
They are research.
Research in order to try and understand.

7. Riccardo Blumer is one of a numerous group of designers who work “on a contract” at university to cover for the (now systematic) absence of organised teaching staff.
But he has certain tr aits which make him stand out from the rest.
He does not treat the university as a place where he can pass on his own “tricks of the trade” with absent- minded confidence, but as a place where he can experiment along with the students on new ways of
trying to understand.
He sees the university not as a place for passing on knowledge but as an opportunity to learn.
Nowadays, unfortunately, all this is rare.