Matteo Borghi
Conoscevamo il Banano principalmente per l'utilizzo delle sue foglie come tetto delle capanne e per il suo frutto: la Banana. Frutto che è tra i più consumati al mondo, insieme al caffè; tra i più calorici, per cui bandito da molte diete; tra i più simbolici per la sua forma fallica; tra i più profumati con il suo sentore di rosa; nonché per la leggenda metropolitana che attribuisce proprietà allucinogene alla sua buccia essiccata e successivamente fumata.
Insieme agli studenti ho cercato di conoscere meglio questa pianta, osservandola nelle sue parti.
In primo luogo è necessario sapere che questa pianta, che assomiglia alla palma, in realtà è una pianta erbacea con uno stelo di diametro 10-25 cm e una altezza che raggiunge i 12 metri. Priva di consistenza legnosa, circondata da foglie fittamente avvolte ed inguainate una dentro l'altra. Lo stelo è cosi morbido che lo si può tagliare con un semplice coltello. Le sue fragili foglie sono larghe 30-60 cm e lunghe fino 3 metri e hanno nervature centrali a sezione variabile. Le banane sono raggruppate in caschi che arrivano a pesare fino a 60 kg.
Ma come può uno “stelo d'erba” così morbido e carnoso sopportare tali carichi e misure?
La natura nella sua apparente semplicità si rileva incredibilmente complessa e ricca di segreti e misteri che traduce in efficienti materiali e performance incredibili. Le sovrapposizioni delle fibre, delle membrane, e della materia in genere, permettono di distribuire le forze ottenendo equilibri inscindibili. Questo è l'ideale di bellezza al quale dobbiamo ispirarci.
Dall'osservazione di questo affascinante materiale sono nate delle suggestioni, dalle quali ogni allievo è partito per elaborare un percorso di utilizzo che potesse andare al di là degli oggetti in foglie di banano intrecciate da abili artigiani e destinati alle bancarelle di molti mercati.
I progetti presentati sono il frutto di semplici esperimenti manuali e delle relative scoperte che vorrebbero essere l'inizio di un più approfondito lavoro di ricerca. In quest'occasione vorrei illustrare tre di questi progetti sviluppati insieme agli studenti.
Il primo nasce dalla considerazione che una sola fibra di banano non ha capacità portante, ma prendendo un insieme di fibre, comprimendole e legandole insieme, e con l'aiuto della geometria, si ottengono strutture capaci di resistere a notevoli carichi con buoni rapporti di peso proprio e resistenza alla compressione.
Il secondo ruota attorno al fatto che la nervatura centrale della foglia di banano con la sua particolare sezione è perfetta per sopportare il peso della lamina fogliare e trasmetterla allo stelo. Ma da verde essa risulterebbe molto fragile, se invece la si essicca, essa acquista resistenza e tagliata a pezzi di ugual misura, accostate e posizionate le fibre nella giusta direzione, si ottiene l'anima di un tamburato che avrà valenze portanti oltre a capacità di isolamento termico ed acustico.
Il terzo progetto è quello sviluppato dalla compressione di un groviglio di fibre di banano e dal loro successivo rilascio. Da tale esperimento si può constatare che il “groviglio” conserva una sorta di “memoria” della propria forma originaria, a tal punto che dalle fibre di scarto si possono ottenere semplici imbottiture di cuscini o sedute come avveniva con i materassi di paglia.
Dallo sguardo dell'osservatore e dalla sua capacità di sperimentare manualmente nuovi procedimenti nasce un metodo di lavoro, che a mio modo di vedere, può portare verso conoscenze a volte persino inaspettate.
Quello che l'Università di San Marino ha permesso non è stato solo un progetto di ricerca universitaria, ma un supporto alla ricerca stessa, che attraverso informazioni culturali faccia tendenza e permetta di sviluppare tecnologie sempre più creative.
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We know the banana tree mainly for the use of its leaves as the roof structure of huts and for its fruit: the Banana. The fruit is one of most consumed throughout the world together with coffee beans; it is one of the highest in calorie content and thus prohibited in many diets; it is one of the most symbolic fruits for its phallic form; one of the most fragrant with its rose-like scent; not to mention the rumour that its dried leaves can produce hallucinogenic effects when smoked.
Together with the students I attempted to learn more about this plant, observing it in its various parts. In the first place, it was necessary to understand that this plant, which resembles the palm tree, is a herbaceous species with a stalk diameter of 10-25 cm and a height that reaches 12 metres. Lacking all wooden consistency, it is surrounded by leaves that are tightly wrapped and girdled around one another. The inner stalk is so soft that it can be cut with a simple knife. Its fragile leaves are 30 to 60 cm wide and 3 meters in length, having a central veining of variable diameters. The bananas are grouped in bunches that can weigh up to 60 kg.
So how can such a soft “grass stalk” hold up such weight and mass?
The nature of its apparent simplicity turns out to be incredibly complex and rich with secrets and mysteries that are explained by the plant’s efficient materials and their incredible performance. The overlapping of fibres and membranes of their material, allow for a weight distribution, allowing for inseparable balances. And it is this idea of beauty which should inspire us.
From the observation of this fascinating material, new suggestions emerged, leading every student to elaborate a viable path that would go beyond the sole object of banana leaves, interwoven by able artisans and destined to the vendors of numerous markets. The projects presented are the fruits of simple manual experiments and their relative discoveries. Here I would like to illustrate three of these projects as they were developed with the students.
The first was taken from the consideration that one single strand of banana fibre does not have any carrying capacity; but by taking a number of fibres, compressing them and tying them together, with the help of geometry, one can obtain structures that are capable of resisting heavy loads, having a strong resistance to compression and a good weight and carrying capacity ratio. The second project focuses on the fact that the central veining of the banana leaf, with its distinct section features, is designed perfectly to bear the weight of the leaf spread and transmit that weight to the central stalk. However, while in its green stage, it remains quite fragile, but if it is instead dried, it acquires resistance. When cut into equal measured pieces and placing the fibres in the right direction, one obtains the body of a drum-form, which has significant carrying capacity as well as features of thermal and acoustic isolation. The third project is one that was developed with the compression of a tangle of banana fibres and their eventual release. From this experiment, it was noted that the “tangle” holds a sort of “memory” of its own original form. At this point, with the extra scrap fibres, one could obtain simple stuffing for pillows or chairs, using it in the same way that hay mattresses are made. From the student-observer’s notations and their capacity to manually experiment new procedures, a work method was born which, from the way I see things, can bring about unexpected ideas and new forms of knowledge.
What the University of San Marino has generated is not merely a University project, but it represents the true platform of research itself, which, through cultural information and investigation, can create innovative trends that allow for the development of increasingly creative technologies.
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Le bananier était surtout connu pour l’utilisation de ses feuilles dans la réalisation des toits des huttes et pour son fruit, la banane. Ce fruit, parmi les plus consommés au monde, avec le café, est aussi l’un des plus caloriques, ce qui lui vaut d’être banni de beaucoup de régimes. Il est également parmi les plus symboliques en raison de sa forme phallique, et l’un des plus parfumés, avec ses senteurs de rose. Il n’est pas moins connu pour la légende urbaine selon laquelle sa peau serait hallucinogène une fois séchée et fumée. Avec les étudiants, j’ai tenté de mieux connaître cette plante en l’observant en détail. Tout d’abord, il faut savoir que cette plante, proche de la palme, est en réalité une plante herbacée dont la tige mesure entre 10 et 25 cm de diamètre et dont la hauteur peut atteindre 12 mètres. Plante non lignifiée, elle est entourée de feuilles densément enveloppées les unes dans les autres et gainées ainsi entre elles. La tige est si souple qu’on peut la couper avec un simple couteau. Ses feuilles très fragiles mesurent entre 30 et 60 cm de largeur, peuvent atteindre jusqu’à 3 mètres de longueur et présentent des nervures centrales de diamètre variable. Les bananes sont regroupées en régimes pouvant peser jusqu’à 60 kg. Comment une tige d’herbe si souple et moelleuse peut-elle supporter un tel poids et de telles tailles? La nature, dans son apparente simplicité, se révèle incroyablement complexe et riche en secrets et mystères qu’elle traduit en matériaux d’une grande efficacité, capables d’incroyables performances. Les diverses superpositions des fibres, des membranes et de la matière en général permettent de répartir le poids de manière à obtenir un équilibre stable. C’est de cet idéal de beauté que nous devons nous inspirer. A partir de l’observation de ce fascinant matériau, sont nées des idées à partir desquelles chaque élève a pu élaborer un processus d’utilisation qui aillent au-delà des objets en feuilles de bananier tressées fabriqués par d’habiles artisans et destinés à être vendus sur de nombreux marchés. Les projets présentés sont le fruit de simples expériences manuelles et des découvertes qui en ont découlé, et ils se veulent le point de départ d’un travail de recherche plus approfondi. Je voudrais ici présenter trois de ces projets élaborés avec les étudiants. Le premier est né de l’idée qu’une feuille de bananier seule ne peut rien porter, mais qu’en prenant plusieurs fibres, en les compressant et en les liant ensemble, avec l’aide de la géométrie, on obtient des structures capables de résister à d’importantes charges, présentant une bonne répartition du poids et une bonne résistance à la compression. Le second tourne autour de l’idée que la nervure centrale de la feuille de bananier, avec son diamètre propre, est faite pour supporter le poids du limbe et le transmettre à la tige. Verte, cette nervure serait très fragile, mais en la faisant sécher, elle acquiert une plus grande résistance. En la coupant ensuite en morceaux de taille égale, et en plaçant les fibres côte à côte dans la bonne direction, on obtient l’âme pour un panneau alvéolaire qui résistera à un poids important et présentera de grandes capacités d’isolation thermique et acoustique. Le troisième projet a été élaboré à partir de la compression de fibres de bananier enchevêtrées puis démêlées. De cette expérience, on a pu constater que l’enchevêtrement conserve une sorte de «mémoire» de sa forme originelle, à tel point qu’on peut utiliser les fibres restantes pour bourrer des coussins ou des sièges, comme on le faisait avec les matelas de paille. Du regard de l’observateur et de sa capacité à expérimenter manuellement de nouveaux procédés, une nouvelle méthode de travail est née, qui peut à mon avis nous conduire vers des connaissances parfois assez inattendues. Ce que l’Université de Saint Marin a permis, ce n’est pas seulement un projet de recherche universitaire, mais un support pour la recherche elle-même, qui à travers des informations culturelles crée de nouvelles tendances et permette de développer des technologie toujours plus créatives.
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